Come Le mille e una notte, anche Hasib è una storia contenitore: Shahrazad racconta, di notte in notte, una storia, e in queste storie ci sono altri personaggi che raccontano storie, in un continuo gioco di scatole cinesi che si innestano una nell’altra.
E per quanto in Hasib il primo piano della narrazione, quello di Shahrazad, è appena suggerito, di capitolo in capitolo i personaggi si incontrano e si chiedono a vicenda di raccontarsi la loro storia, che a sua volta contiene altri incontri e così via. Se da un lato questo approccio rende il libro una sorta di variopinta antologia, che connette tanti racconti in un unico contenitore, uscendo dal format del romanzo (a fumetti o meno), anche sul piano linguistico l’operazione è perfettamente riuscita: il lettore non sta assistendo a quello che succede, ma al racconto di quanto è già successo. E il racconto può essere piegato, enfatizzato, può avere ora una valenza più storiografica e ora più emotiva. Questo si riflette nella continua invenzione visiva di David B., che può lasciare andare la fantasia a soluzioni visive e grafiche cangianti senza uscire da una coerenza stilistica: sono i personaggi a trasformare gli eventi in racconto, infondendolo di tutto il piano simbolico e metaforico, e l’autore non fa che riportare sulla carta quel racconto.
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